Vittorino Andreoli

Freud

L'inconscio prima di Freud

Nella nostra mente il nome di Sigmund Freud si coniuga subito con «inconscio». In secondo luogo con «sessualità infantile» e poi con «lettino» come oggetto simbolo del setting psicoanalitico.

A Freud non si lega tuttavia la nascita del termine inconscio - una parola che certo ha avuto una grande fortuna -, poiché cronologicamente precede la sua opera. A lui si deve l'inconscio clinico, l'analisi e la strutturazione che egli vi apporta fino a farne il grande «personaggio» della psicologia e del comportamento umano. Dal senso generale si passa alla dimensione psicologica e psicopatologica. E non è esagerato dire che con Freud e il «suo» inconscio, la psicologia prende una svolta fondamentale.

Il termine risale principalmente a Karl Robert Eduard von Hartmann (1842-1906). Nella sua opera Filosofia dell'inconscio (Philosophie des Unbewussten) egli sostiene che a spingere il mondo (tutte le cose, non solo l'uomo) verso una finalità precisa e coerente, verso la perfezione, è l'inconscio e dunque qualcosa che sfugge alla ragione.

Si rifaceva ad Arthur Schopenhauer, che riteneva nascosta (inconscia) la volontà di vivere. Ricordando certo Henri Bergson e il suo élan vital (la forza vitale).

È dunque possibile ripercorrere la storia dell'inconscio prima di Freud.

Un riferimento a questo concetto, prima della sua espressione verbale, riporta a Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) e al suo ndchtliche Schacht, il «pozzo notturno dell'io»: un'espressione straordinaria che Benedetto Croce traduce con «fondo tenebroso», ancora più carico di quella valenza dei sentimenti che avrà in Freud. Scrive Franco Chiereghin: «Il sonno è un nostos, è un viaggio di ritorno verso quella che Hegel chiama "l'essenza universale della soggettività". Ma ciò che più conta è che quest'essenza non è solo la base da cui rampollano tutte le manifestazioni della vita desta, ma è molto di più: è "la loro potenza dominatrice assoluta". Il che significa: ciò che si dispiega nello stato di veglia è dominato in maniera assoluta da una potenza che affonda le proprie radici in quello che Hegel altrove chiama "il pozzo notturno dell'io" e che [...] è il vero e proprio inconscio. È come dire: se non impariamo a conoscere ciò che avviene nel sonno, non sapremo mai la natura delle forze che ci tengono nel loro strapotente dominio e che consentono quest'opera di ripristino dell'unità della nostra personalità, questa guarigione dalle ferite inferte dalla disgregatezza della vita desta». E ancora: «Trascureremmo, infatti, un lato importante dell'antropologia hegeliana se evidenziassimo solo la lotta di liberazione dell'anima verso la coscienza e lo spirito, lotta che Hegel intraprende sotto la guida dei libri aristotelici. Bisogna tener conto anche del fatto che proprio perché l'anima vien prima della coscienza il suo territorio è ciò che Hegel stesso nomina come inconscio. L'aspetto più interessante della tematizzazione hegeliana dell'inconscio è che l'intero sviluppo della vita cosciente, e quindi anche delle più alte attività dello spirito, ha e mantiene col lato inconscio dell'anima un legame costitutivo».

Chiereghin conclude così il suo saggio: «L'individuo è dunque (a dispetto della sua indivisibilità) in se stesso duplice: da un lato coscienza desta, che vive consapevole di sé e delle proprie rappresentazioni universali, e dall'altro energie inconsce che la circondano e la compenetrano, consentendole di costruirsi solo sulla base di ciò che esse gli offrono. Può così accadere che l'inconscio, con progressione insensibile o anche con violenza improvvisa, arrivi a sconvolgere la vita cosciente assoggettandola alle proprie dinamiche, le quali per andamento e struttura sono per lo più antagoniste al livello conscio e in gran parte non assimilabili da questo. Sottolineando quest'aspetto della dottrina hegeliana dell'anima non intendo affatto fare di Hegel un precursore della psicoanalisi o della psichiatria contemporanea. Si tratta piuttosto di comprenderlo meglio sia nei suoi limiti (nelle ingenuità, nei moralismi insostenibili, nelle ovvie insufficienze diagnostiche), sia per quegli aspetti che lo abilitano a essere un non ingombrante compagno di strada di quanti cercano di penetrare nelle dinamiche del ndchtliche Schacht, del "pozzo notturno" dell'io». .

Questa premessa dà maggiore forza al pensiero di Freud perché lo inserisce in una forma di meditazione che aleggiava da almeno un secolo, se si fa nascere la psicoanalisi nel 1900 con la pubblicazione de L'interpretazione dei sogni0 Questa data, seppur un poco convenzionale - come sempre la datazione storica -, vale per l'origine della psicoanalisi ma non certo per l'inconscio in Freud, che già è presente nei suoi Studi sull'isteria del 1895, e deriva forse dalla lettura dei maggiori autori tedeschi.

Sigismund Schlomo Freud

Sigismund Schiomo Freud nasce il 6 maggio 1856 a Freiberg, in Moravia, che allora faceva parte dell'impero austriaco. Sarà lui stesso nel 1877 a semplificare il suo nome in Sigmund.

Il padre Jakob è un ebreo proveniente dalla Galizia, commerciante in lana, che si trasferisce a Vienna nel 1860.

Nella Vienna di quel periodo vi sono forti correnti antisemite e Freud ricorderà sempre con cocente umiliazione il comportamento del padre che di fronte alla prepotenza di un «gentile» gli cede il passo sul marciapiede, mentre il figlio avrebbe desiderato un atteggiamento più coraggioso.

La madre Amalia Nathanson ha ventun anni alla nascita di Sigmund, è la seconda moglie di Jakob che ha già due figli da una precedente unione.

Un'ombra luttuosa nella vita infantile di Sigmund è rappresentata dalla morte di un fratellino di pochi mesi quando egli non ha ancora due anni. In una lettera scriverà: «La sua morte ha lasciato in me il germe del rimorso».

Le grandi capacità intellettive lo fanno distinguere nei suoi studi al ginnasio e agli esami di maturità ottiene la menzione d'onore. Riconosce alle opere di Darwin e al saggio sulla natura attribuito a Goethe un'influenza sulla sua scelta della facoltà di medicina, oltre che all'interesse per la biologia. Impiega otto anni - invece dei sei richiesti - per laurearsi perché si dedica alla ricerca, frequentando assiduamente prima l'Istituto di anatomia comparata diretto da Cari Claus, poi l'Istituto di fisiologia del professor Ernst Brùcke, affascinato dalle ricerche sul sistema nervoso. Laureato, vorrebbe continuare in quel campo, ma la prospettiva è di un futuro senza stipendio, almeno nell'immediato. La carriera accademica non offre speranze a un giovane di modeste condizioni economiche e per di più ebreo. Ne parla al padre che lo invita a trovare un'occupazione remunerata. Sarà poi lo stesso padre a comunicare al professore la decisione del figlio di abbandonare l'Istituto, un episodio che Sigmund vivrà sempre come un'indebita ingerenza.

Il rapporto con il padre è certamente conflittuale e l'ambivalenza si percepisce anche nei comportamenti «riparativi» del figlio: quando il padre si sottopone a un intervento agli occhi, Sigmund adopera proprio con lui la cocaina, dopo averne sperimentato nelle sue ricerche gli effetti come analgesico oftalmico. Quasi dovesse bilanciare con la dedizione il senso di colpa per i propri risentimenti.

Lasciato l'iter universitario troppo incerto, si dedica alla pratica clinica soprattutto nel campo neurologico. Rimane comunque attivo il suo interesse per gli aspetti della ricerca: frequenta il laboratorio di anatomia patologica sul cervello di Theodor Meynert, pubblicando anche numerosi lavori scientifici, tanto da ottenere la libera docenza nel 1885 in neuropatologia. È un raggiungimento importante per quei tempi, perché qualificava un medico con il titolo di professore e dava diritto a onorari più alti.

Un evento che costituirà una vera svolta nei suoi interessi è la possibilità di frequentare la Salpètrière a Parigi con una borsa di studio di sei mesi. Qui opera Jean-Martin Charcot, il clinico che associa l'isteria all'epilessia curandola con l'ipnosi.

L'isteria dominerà a lungo i suoi interessi e rappresenterà il modello di nevrosi, poiché vi si applicano i meccanismi principali, come la rimozione, responsabili del comportamento di tutte le nevrosi.

Tornato a Vienna, inizia la sua attività clinica privata e comincia a guadagnare abbastanza da poter finalmente sposare il 13 settembre 1886 Martha Bernays. Nei primi nove anni di unione nasceranno sei figli.

L'attività professionale vede Freud collaborare con Joseph Breuer e nel 1895 pubblicheranno insieme Studi sull'isteria. Già in questo scritto Freud espone la sua posizione critica nei confronti dei trattamenti con l'ipnosi, che impediscono al paziente, in stato di trance, di avere consapevolezza del lavoro che lo psichiatra svolge. Per Freud diventa necessario poter accedere al profondo della personalità, ma in stato di veglia. Su questa idea si fonda la psicoanalisi, la cui storia sarà poi scandita in varie fasi.

Nel 1900, con la pubblicazione de L'interpretazione dei sogni, nasce ufficialmente la psicoanalisi a cui Freud si dedicherà con successo per il resto della vita, ottenendo quel riconoscimento a cui aveva sempre aspirato. Entra in contatto con personaggi come Sàndor Ferenczi, Ludwig Binswanger, Lou Andreas-Salomé, Karl Abraham, che ormai fanno parte della storia.

Anche l'iniziazione alla loggia massonica del B'nai B'rith di Vienna sembra poter inscriversi in questa esigenza di identificazione e appartenenza sociale.

Nel 1902 Freud riunisce le persone interessate al movimento psicoanalitico nella Società psicologica del mercoledì, che prende il nome dal giorno in cui si incontrano per le discussioni e l'approfondimento: i cinque membri portano un anello che stabilisce un patto comune. Oltre a Freud, i partecipanti sono Wilhelm Stekel, Alfred Adler, Max Kaha-ne, Rudolf Reitler. Nel 1908 perde questo carattere «esclusivo» e diventa la Società psicoanalitica di Vienna.

Nel 1909 la psicoanalisi sbarca negli Stati Uniti: Freud viene invitato insieme a Cari Gustav Jung, Sàndor Ferenczi ed Ernest Jones (che finirà per diventare il suo biografo ufficiale). In questa occasione tiene una serie di conferenze {Cinque conferenze sulla psicoanalisi, 1909) e gli viene conferito il titolo di dottore ad honorem alla Clark University di Worcester, Massachusetts.

Nel marzo del 1910, al Congresso di Norimberga, viene istituita la Società psicoanalitica internazionale, al fine di coordinare le varie società che erano sorte nel frattempo a opera degli allievi di diversa nazionalità che avevano frequentato Freud a Vienna. Jung, allievo allora prediletto, viene prescelto come presidente per guidare il movimento psicoanalitico.

Tra le opere principali di Freud in questo periodo se ne segnalano tre: ne Linterpretazione dei sogni, pubblicata con la data del 1900, il sogno, che egli chiama la «via regia», è considerato linguaggio privilegiato dell'inconscio.

Nel 1904 esce la prima edizione in volume della Psicopatologia della vita quotidiana (l'ultima edizione del 1924 è la decima, con un numero di pagine triplicate!).

I Tre saggi sulla teoria sessuale sono del 1905: affermano la centralità della pulsione sessuale e del meccanismo della rimozione nella genesi dell'isteria e delle nevrosi.

Nel 1911 si delinea il conflitto con Jung: i due hanno visioni molto diverse del ruolo e dell'importanza della sessualità e dell'inconscio, che in Jung si caratterizza come inconscio collettivo, rappresentato dagli archetipi, forme arcaiche che trascendono la dimensione puramente individuale.

Questa posizione porta Freud a scrivere opere come Totem e tabù (1913), e più tardi Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921), L’avvenire di un'illusione (1927), 11 disagio della civiltà (1930). Nel pensiero freudiano la società - nella sua attività di civilizzazione - non può che svolgere una funzione di repressione, creando «disagio» e limitando le gratificazioni pulsionali a cui l'uomo individualmente tenderebbe.

Dopo aver citato le opere più significative, non può mancare un accenno al possibile collegamento tra gli eventi tragici occorsi nella vita di Freud e l'evolvere del suo pensiero teorico.

Possiamo iniziare proprio con L’interpretazione dei sogni. Il saggio prende forma dopo la morte del padre Jakob nel 1896 ed è in stretta correlazione con l'autoanalisi che Freud compie tra l'estate e il dicembre 1897. Lui stesso ne parla come di «un brano della mia autobiografia, come la mia reazione alla morte di mio padre [...] la perdita più straziante nella vita di un uomo».

Di fronte all'esperienza umana della perdita sembrano essersi mobilizzate le risorse dell'inconscio, che con il suo linguaggio permette di elaborare il lutto.

Gli anni dal 1915 al 1920, quelli della Prima guerra mondiale, sono segnati da occorrenze drammatiche: mentre due figli di Freud sono al fronte e i familiari trepidano per loro, si abbatte sulla famiglia la morte per polmonite fulminante della figlia Sophie, di ventisette anni, con due bambini piccoli e un terzo in arrivo. A Ferenczi nel 1920 Freud scrive: «Da anni mi aspettavo, ed ero preparato alla perdita dei figli maschi [la guerra aveva certamente sollecitato questa preoccupazione]. È avvenuta invece quella della figlia. Essendo profondamente irreligioso, non posso accusare nessuno. [...] Nell'intimo posso rintracciare un sentimento di profonda ferita narcisistica che non può esser guarita».

Escono in quegli anni: Lutto e melanconia (1917) e in successione rapida Caducità e Considerazioni sulla guerra e sulla morte, in cui Freud si interroga sulla necessità di lasciare nella nostra mente il posto che compete alla morte «per meglio sopportare la vita».

Nel 1923 si manifesta il tumore alla mascella, che comporterà sedici lunghi anni di inenarrabili sofferenze, interventi, dolori.

Max Schur, il medico che lo seguirà fino all'ultimo, ne ha lasciato una testimonianza toccante nella sua biografia.

Ma come non bastasse, il cancro si associa a un'altra tragica perdita, quella del nipotino Heinele, di quattro anni, per tubercolosi.

È l'unica situazione in cui l'uomo «senza lacrime» (come è stato chiamato da Emilio Rodrigué)5 arriva a piangere. E nel 1926 nella risposta epistolare al collega Ludwig Bins-wanger, che pure aveva perduto un figlio di otto anni, leggiamo: «Dalla morte di Heinele [...] non trovo neppure più gioia nella vita. Questo è anche il segreto della mia indifferenza, che chiamano coraggio, di fronte a ciò che minaccia la vita».

Non si può che pensare alla nozione entrata in scena nel saggio del 1920, Al di là del principio di piacere: la pulsione di morte, che Freud aveva introdotto nel seguente modo: «Se dobbiamo necessariamente morire, e perdere le persone che ci sono più care, preferiamo essere soggetti a una legge naturale inesorabile, alla sublime ananke [necessità] piuttosto che a un caso che avremmo potuto evitare».

Freud sembra attraversare lutti, dolori, malattie, la scomparsa di colleghi, trovando pur sempre la forza nello scrivere, nel pensare, nel lavorare sui casi clinici.

È proprio del dottor Max Schur la convinzione che «la formulazione del concetto di pulsione di morte - per quanto possa sembrare paradossale - può averlo predisposto a credere nella supremazia dell'Io, del logos, la sola forza che avrebbe potuto fronteggiare ì'ananke».

Nel 1930 muore a novantacinque anni la madre Amalia. Se alla morte del padre Freud si era sentito «privo di radici», qui invece descrive a Ferenczi «un senso di liberazione, di sollievo che credo di poter capire. Non mi era permesso di morire finché viveva lei, ora invece posso farlo. I valori della vita negli strati più profondi sono in un certo senso mutati».

Nel 1938 l'Austria è invasa dai nazisti e il fatto cha la figlia Anna sia convocata e trattenuta per ore dalla Gestapo persuade Freud, prima contrario, della necessità di emigrare. Il 4 giugno 1938, grazie alla mediazione della principessa Marie Bonaparte, allieva e amica preziosa, si rifugia a Londra. E a Maresfield Gardens, nel quartiere di Hampstead, può dedicarsi alla stesura de L'uomo Mosè e la religione monoteistica e del Compendio di psicoanalisi, che però rimane in parte incompiuto per la sua morte, avvenuta il 23 settembre 1939.

L'inconscio clinico di Freud

Freud è affascinato dall'isteria e assieme a Breuer la cura con l'ipnosi, una tecnica che conduce i pazienti in uno stato di coscienza «alterata», tale da permettere di entrare nel loro mondo segreto e di vincere le loro resistenze a riferire eventi drammatici e ferite della vita recente o passata. Permette di entrare nel «pozzo notturno dell'io», come uno speleologo che si inabissi in una caverna, nei meandri del sottosuolo, alla ricerca delle sorgenti della nevrosi isterica e di quel suo manifestarsi che sfugge alla volontà del paziente come se fosse agito e non agisca di propria volontà.

Ricorda la caverna di Platone, quel mondo del mistero che ha affascinato non solo i filosofi ma anche gli studiosi del mito. Un mistero dell'uomo che sottostà al «chiaro e distinto», al mondo della ragione che già Immanuel Kant aveva richiamato definendone ambiti e logica.

In seguito Freud dirà che con l'ipnosi si giunge al subconscio e non all'inconscio che è ancora più «in basso», nella profondità dell'Io e per raggiungerlo occorre seguire una tecnica diversa, la psicoanalisi appunto.

È indubbio che assistere a una crisi isterica, come gli capitava durante le lezioni di Charcot alla Salpètrière - l'idea dell'antro, di una forza che domina silenziosa e misteriosa l'agire umano -, doveva averlo fortemente impressionato, come del resto ha sempre colpito me. Un mistero che rimanda al sottosuolo, al dentro di noi, ma anche al cielo, e dà inizio a una lunga meditazione escatologica e teologica, fatta di dèi.

Freud inizia la sua carriera di medico come fisiologo e tende dunque alla spiegazione e allo sdire per causas e si serve delle ipotesi come guida per il lavoro clinico e non solo per lo studio delle scienze pure. All'elaborazione dei filosofi dell'inconscio aggiunge così il suo apporto, che segue i sentieri della ricerca, dell'analisi dei casi clinici e dell'isteria, ma anche quelli del comportamento umano. Infatti, «non esiste un confine preciso fra normalità e anormalità nervosa, [...] siamo tutti un po' nervosi».

La normalità gli appare come un'espressione di formes frustes (forme attenuate) di nevrosi, «casi in cui si presentano pochi sintomi, o in cui i sintomi si presentano raramente o in modo non violento, casi in cui la lievità dipende dal numero, dall'intensità, dall'estensione nel tempo dei fenomeni morbosi [...] fino al punto di precludere l'assunzione del cibo e i rapporti sessuali, il lavoro professionale e la vita sociale [...]. Il carattere comune sia ai casi più lievi sia a quelli più gravi [...] consiste però nella riconducibilità dei fenomeni a un materiale psichico represso in modo incompleto, il quale, respinto dalla coscienza, tuttavia non è stato completamente privato della capacità di esprimersi». E in un altro brano: «Quel che rimane oscuro nella spiegazione di questi lievissimi disturbi, secondo me, dovrebbe ricevere luce dal chiarimento dei disturbi più gravi». E insiste: «Anche in uomini sani, non nevrotici, si trovano ampi indizi della resistenza che si oppone al ricordo di impressioni penose e alla rappresentazione di pensieri penosi».

L'osservazione non si erge dunque a distinzione netta tra il mondo della nevrosi e quello della normalità, ma disegna un continuum, distinto non per i processi, che sono gli stessi, bensì per le aree esistenziali che quei processi impegnano in un caso e nell'altro. I meccanismi sono gli stessi e il personaggio è sempre l'inconscio.

La grandezza di Freud non sta dunque nell'inventare l'inconscio, ma nell'avergli dato una dimensione clinica: un'istanza che serve a capire il comportamento dell'uomo e al contempo la sua patologia.

E compie un'operazione straordinaria poiché porta dentro l'uomo la genesi del suo malessere e delle sue sofferenze togliendo ogni possibilità di ritornare alle forze fuori di noi, ai demoni o agli dèi, all'influenza degli astri o del mistero. Il mistero, se esiste, lo si trova dentro ciascuno di noi e dentro di noi lo si può analizzare.

«Non credo che un evento verificatosi senza la partecipazione della mia vita psichica possa farmi conoscere qualche cosa di nascosto sulla forma che assumerà la realtà futura; credo invece che una manifestazione non intenzionale della mia attività psichica mi sveli veramente qualcosa di nascosto, che a sua volta appartiene soltanto alla mia vita psichica; [...] per il superstizioso è il contrario: [...] è disposto [...] ad attribuire al caso esterno un significato che si manifesterà nell'accadere reale, è propenso a vedere nel caso uno strumento di espressione per cose occulte esterne a lui. Le differenze fra me e il superstizioso sono due: in primo luogo, egli proietta all'esterno una motivazione che io cerco dentro di me; in secondo luogo, egli spiega il caso attraverso un accadimento, invece io lo riconduco a un pensiero. Ciò che per lui è l'occulto corrisponde a ciò che per me è l'inconscio, e la coazione a non considerare il caso come tale ma a volerlo interpretare è comune a entrambi.»

L'inconscio dunque non è un ossimoro, come se si definisse una realtà imprendibile e inconoscibile, perché fuori della conoscenza che è il campo del sapere. È un non noto che va studiato poiché interferisce col comportamento dell'uomo e ne condiziona la felicità, il suo ben d'essere.

E in questo il movimento che nasce con Freud è perfettamente coerente con l'atmosfera positivistica che agli inizi del Novecento domina in Germania (dove il positivismo è nato), ma anche in tutta Europa. Una reazione al mistero che ha generato gli dèi e le chiese che ora dominano l'uomo. È tempo di capire, di studiare, di seguire le ipotesi che guardano dentro l'uomo e non al cielo lontano.

Psicopatologia della vita quotidiana

È l'opera in cui Freud presenta l'inconscio, anzi lo fa ritrovare in ciascuno di noi. E costituisce un esempio meravigliosamente riuscito di comunicazione medico-scientifica fuori dell'ambito proprio degli esperti, che quando scrivono sulle riviste specializzate usano un linguaggio lontano da quello comune.

Le riviste diventano la fonte a cui attingere per rivolgersi ai lettori che non hanno una conoscenza specifica della medicina. Una comunicazione necessaria all'attività medica e soprattutto alla psichiatria che si deve basare, come Freud afferma, sulla comprensione e sulla collaborazione tra medico e paziente.

E non poteva essere diversamente poiché Freud è il fondatore della relazione come incontro di sentimenti prima ancora che di parole. Al contempo si impone come il creatore di un linguaggio capace di raccontare e trasmettere le conoscenze mediche e psicologiche. La premessa perché l'incontro sia veramente utile: la terapia non è più un agire modificando un «oggetto», ma un dialogo in cui il processo terapeutico unisce terapeuta e psichiatra. Per questo occorre capirsi, anzi comprendersi (termine che indica «l'andare verso»).11

La Psicopatologia della vita quotidiana è un capolavoro di comunicazione tra psichiatra e lettore. È una sintesi non di concetti e di principi, ma di fatti e di episodi che coinvolgono lo stesso Freud e molte altre persone. E mentre si passa da una storia all'altra viene voglia di mettere dentro la propria, come capita al lettore, a cui sembra di poter arricchire la serie degli esempi.

Un romanzo indirizzato a mostrare l'inconscio non come principio, non con lo stile dei filosofi, ma in maniera pratica. Scoprire il proprio inconscio che fino ad allora era sfuggito alla percezione.

Un testo che accompagna in un viaggio a piccole tappe nel quale l'inconscio non rimane un ente estraneo. Ognuno scopre il proprio, lo percepisce, lo incontra.

Per qualche ragione mi viene in mente la differenza tra chi ha letto le vie di san Tommaso sulla dimostrazione dell'esistenza di Dio nella sua Summa Theologiae, e chi invece ha avuto l'esperienza diretta dell'incontro con Dio. E penso a un eremita, ma anche a Bernadette che nella grotta di Lourdes ha visto la Madonna, la madre di Dio, e le ha parlato.

In questa opera si tratta solo e sempre di inconscio, dell'inconscio dentro di noi e della modalità per percepirlo e per dargli una fisionomia. Un inconscio che agisce in noi, giustificando pensieri e azioni che fino a quel momento ci sembravano strani, parte di un mondo enigmatico e incomprensibile. Quello stesso sentire che rimanda agli dèi, al mistero, al destino, alla condizione umana tragica, poiché gestita dall'ignoto, mentre ciascuno vorrebbe essere attore e compos sui.

Scrive Freud: «Temo di essere diventato addirittura banale, con tutti gli esempi riportati finora. Ma non posso che essere soddisfatto di imbattermi in cose che tutti conoscono e che ciascuno comprende alla stessa maniera, poiché la mia sola intenzione è di raccogliere le cose della vita quotidiana e usarle scientificamente. Non capisco perché la saggezza, che è il sedimento della comune esperienza di vita, non dovrebbe essere accolta tra le conquiste della scienza».

Le storie riguardano la dimenticanza, i lapsus, le sbadataggini, gli errori, gli atti mancati e altri tipi di esperienze che ciascuno ha fatto e attribuito a qualcosa di strano o di esterno alla propria mente, come se si trattasse di eventi privi di significato e puramente casuali.

Dimenticanza

A proposito delle dimenticanze (capitoli I-III), a sottolinearne il senso Freud scrive: «Ho raccolto i casi di omissione [...] osservati su me stesso, cercando di spiegarli, e ho trovato che quasi sempre si potevano far risalire all'interferenza di motivi ignoti o inconfessati, o, se si preferisce, a una "controvolontà"». E ancora: «Nell'intento di fornire un piccolo apporto alla conoscenza delle condizioni della dimenticanza, sono solito sottoporre ad analisi psicologica» -che altrove chiama ricerca dell'«intenzione inconscia» - «i casi di dimenticanza occorsi a me stesso. [...] In innumerevoli occasioni possiamo osservare come nella quotidianità la nostra memoria sia incompleta e insoddisfacente».

Dopo una precisa analisi della storia in cui si situa la dimenticanza, Freud ne dà una spiegazione e giunge sempre a formulare un'ipotesi.

E scopre che la memoria cosciente deve far appello alla memoria inconscia, «che è senz'altro molto più ricca».

«In generale abbiamo trovato che i propositi di una qualche importanza vengono dimenticati quando motivi oscuri [inconsci] insorgono contro di essi.»

«La tendenza a dimenticare ciò che è sgradevole è del tutto generale; la capacità di farlo varia certamente da persona a persona. [...] Anche in uomini sani, non nevrotici, si trovano ampi indizi della resistenza che si oppone al ricordo di impressioni penose e alla rappresentazione di pensieri penosi.»

E che l'inconscio abbia un potere enorme lo si desume dai casi gravi di nevrosi ma soprattutto da quei comportamenti antibiologici che portano alla morte, come accade nel suicidio. «Chi crede che esista un autolesionismo semintenzionale - se è lecito usare quest'espressione impropria - sarà anche pronto a supporre che, oltre al suicidio coscientemente intenzionale, ci sia anche l'autolesionismo semintenzionale - con intenzione inconscia -, che sa sfruttare abilmente una minaccia alla vita, mascherandosi come incidente casuale. Un tal caso non è affatto raro.»19

Considerazione che richiama un dato del tempo presente, in cui si calcola che il 20 per cento degli incidenti stradali sono suicidi mascherati. Un riferimento che serve già ad adombrare l'attualità almeno di parte delle considerazioni e delle scoperte di Freud.

«Mi è noto più di un caso di incidente apparentemente casuale (a cavallo o vettura), i cui particolari legittimano il sospetto che si tratti di un suicidio reso possibile inconsciamente. [...] Sàndor Ferenczi, di Budapest, mi ha affidato per la pubblicazione l'analisi di un caso di ferimento da arma da fuoco in apparenza casuale, da lui spiegato come tentativo inconscio di suicidio.»20

Ritengo che l'insegnamento più immediato che deriva dalla Psicopatologia della vita quotidiana risieda nell'importanza data alle piccole cose, a quei comportamenti che sembrano casuali, persino banali, e che finiscono per non essere nemmeno più notati. Invece non solo hanno un senso ma trasmettono, se bene interpretati, segnali di piccole disfunzioni che possono rappresentare l'incipit di sintomi e persino di disturbi della mente.

Un esercizio che ci abitua a essere più attenti alla salute della mente e a rilevare avvisaglie patologiche fin dal loro insorgere per poterle risolvere preventivamente. Ciò ha particolare significato in una cultura, l'attuale, in cui si tende a minimizzare i deficit comportamentali e quindi a notarli solo quando hanno dimensioni di una gravità tale da essere più difficilmente curabili.

Ecco l'esempio: «In passato, quando visitavo a domicilio i pazienti più spesso di quanto faccia attualmente, mi capitava frequentemente, arrivato alla porta alla quale dovevo bussare o suonare, di estrarre dalla tasca le chiavi del mio appartamento, per poi riporle quasi mortificato. [...] [L'atto mancato] equivaleva al pensiero: "Qui mi trovo come a casa mia" poiché ciò si verificava soltanto con i pazienti ai quali mi ero affezionato».

E ancora: «Tempo fa, in casa mia vi fu un periodo in cui si ruppero molti oggetti di vetro e di porcellana; anche io contribuii notevolmente al danno. Ma la piccola endemia psichica fu facile da spiegare; erano i giorni precedenti le nozze della mia figlia maggiore. In occasione di tali feste si era soliti, infatti, rompere intenzionalmente un oggetto, accompagnando l'atto con un'espressione augurale. Tale usanza può assumere il significato di un sacrificio e anche altri sensi simbolici».

Alla luce della logica dell'inconscio acquistano valore anche «fare un passo falso» e cadere. «Sono azioni sacrificali destinate a placare il destino, a scongiurare disgrazie e così via.»

Quando poi si compiono falsi movimenti e ci si fa del male si può trattare di un'autolesione in apparenza casuale.

Tutto ciò «ricorda, ancora una volta, quali profondi sguardi nella vita psichica ci consentano di gettare le azioni "innocue" e "prive di significato" e quanto presto nella vita si sviluppi la tendenza alla simbolizzazione».

Sbadataggini

Un esempio che trovo particolarmente interessante è quello delle «sviste» che Freud chiama anche «sbadataggini» (capitolo Vili): un termine che non ha alcun sapore patologico mentre sa proprio di vita quotidiana. Li definisce «piccoli disturbi funzionali della vita quotidiana delle persone sane»2con un preciso senso e un'intenzione nascosti.

Errori

Nel capitolo X dedicato agli errori c'è un riferimento di Freud al suo inconscio, che interessa in modo particolare gli scrittori, almeno quelli potenziali: «Nel mio libro L’interpretazione dei sogni», sicuramente il più importante per la fondazione della psicoanalisi, «mi sono reso colpevole di una serie di falsi storici e in genere di errori materiali, di cui mi sono reso conto con sorpresa solo dopo la pubblicazione del testo. Un esame più attento mi ha mostrato che essi non erano da addebitare alla mia ignoranza, ma erano riconducibili a errori di memoria, che si possono spiegare attraverso l'analisi».

E poi continua: «E inoltre, come si spiega che non mi sia accorto di tali errori durante le tre accurate correzioni di bozze, quasi fossi colpito da cecità?».

E a sottolineare, aggiunge: «Alle pagine 177 e 370, affermo che Zeus evira il padre Crono e lo precipita dal trono. [...] la mitologia greca lo fa compiere a Crono sul proprio padre Urano».

Dopo le spiegazioni inconsce riportate nel testo, e a cui rimando, conclude: «Dove c'è un errore, dietro dev'esserci una rimozione. [...] Tutti e tre gli esempi riportati» - oltre a Crono, l'errore di p. 135 in cui Asdrubale viene chiamato padre di Annibale, e di p. 266 in cui fa nascere Schiller a Marburg invece che a Marbach - «hanno come sfondo il medesimo tema: gli errori sono la conseguenza di pensieri rimossi inerenti al mio defunto padre». E dunque, «dove c'è un errore, dietro dev'esserci una rimozione».

E Freud ne dà ampia e convincente motivazione, come il lettore vedrà alle pp. 243 e seguenti. Ma ovviamente precisa che «da tali errori, originati dalla rimozione, si discostano nettamente altri errori, dovuti a effettiva ignoranza».

Ed ecco l'ipotesi, con relativo valore generale: ogni volta che commettiamo un errore «è lecito supporre una perturbazione a opera di processi psichici esterni all'ambito dell'intenzione; ma bisogna ammettere che spesso tali errori seguono le leggi della somiglianza, della comodità o della tendenza alla fretta, senza che l'elemento perturbatore riesca a imporre parte del suo specifico carattere nell'errore risultante. [...] Ma vorrei invitare a riflettere se non sia fondato estendere gli stessi punti di vista alla valutazione dei ben più rilevanti errori di giudizio che gli individui commettono nella vita e nella scienza. Sembra che solo agli spiriti più eletti e più equilibrati sia dato preservare l'immagine della realtà esterna, così come è percepita, dalle deformazioni cui di solito soggiace nel passaggio attraverso l'individualità di colui che la percepisce».

Da questi riferimenti testuali si coglie innanzitutto come Freud non si ritenga parte degli spiriti più eletti, considerando la grande quantità di distorsioni in cui è incappato. Inoltre è chiaro come questo libro non appartenga alla manualistica, che ritiene di rispondere sempre a tutto e in maniera definitiva. Qui il lettore compie un viaggio dentro l'inconscio, il proprio in particolare, ma anche in quello del suo accompagnatore, Sigmund Freud.

La Psicopatologia della vita quotidiana ci conduce a un principio che nella sua semplicità è però sconvolgente, almeno per chi pensa di avere in mano il proprio destino e di guidarlo con la ragione: «Se si introduce la distinzione fra motivazione cosciente e motivazione inconscia, allora il sentimento di convinzione ci informa che la motivazione cosciente non abbraccia tutte le nostre decisioni [...]. Ma quel che così è lasciato libero da una parte, riceve da un'altra parte la sua motivazione dall'inconscio, cosicché la determinazione nella psiche si realizza completamente».

Semplice ma sconvolgente anche dopo più di cento anni dalla sua affermazione (la Psicopatologia della vita quotidiana è stata pubblicata in rivista nel 1901, in volume nel 1904 e fino al 1924 ne sono uscite dieci edizioni costantemente ampliate e modificate). Sconvolge poiché riesce a mettere in crisi assunzioni date per certe ma negate o messe in dubbio dalla logica d'inconscio, che segue leggi proprie anche se completamente diverse da quelle della ragione. A partire dal problema delle responsabilità per gli atti che l'uomo compie, e che certo non sono sempre riportabili «all'intendere e al volere», a cui fa riferimento ancora oggi il codice di procedura penale.

E poi c'è il problema della libertà che tanto affascina l'uomo. Una libertà che egli tenta di salvare anche quando gli appigli sembrano inconsistenti.

La scelta della persona giusta per una storia d'amore è dettata dai desideri inconsci o dalle giustificazioni che ci diamo consapevolmente? Qual è la fonte di questa guida e, se è l'inconscio, come difenderci da intendimenti che possono serbare persino vendette o autopunizioni?

In termini di teoria della psicoanalisi i comportamenti quotidiani vengono assimilati al processo del sogno, e di conseguenza a un altro capitolo della normalità e della patologia: «Qualche parola ancora per indicare almeno la direzione in cui si trova il contesto più ampio. Il meccanismo degli atti mancati e casuali [...] presenta una forte concordanza con il meccanismo della formazione del sogno, [...] la situazione è la stessa, cioè pensieri inconsci giungono a espressione per vie inconsuete, tramite associazioni esteriori, come modificazioni di altri pensieri. Le insulsaggini, le assurdità e gli errori del contenuto onirico» non vanno ascritti «allo stato di sonno della vita psichica, dal momento che possediamo abbondanti testimonianze della sua attività anche durante lo stato di veglia, negli atti mancati. La stessa connessione ci impedisce anche di ritenere che questi processi psichici, che ci sembrano strani e anormali, siano condizionati da una profonda disgregazione dell'attività psichica o da stati morbosi funzionali».

Ricordi d'infanzia

Il capitolo dedicato ai ricordi d'infanzia richiama alla mia memoria l'interesse che ho provato nel leggere lo studio di Freud su Leonardo da Vinci (1910).

Il grande artista racconta che mentre era nella culla, all'età di circa un anno e mezzo, un nibbio si posò su di lui e mise la lunga coda dentro la sua bocca. Freud ipotizzò nella sua analisi che si trattava di un segno di desiderio omosessuale e che l'immagine richiamava un rapporto di sessualità orale: la coda di un uccello... Nello studio sulla vita di Leonardo la sua ipotesi si arricchisce di riferimenti a comportamenti propri di questo tipo di erotismo.

A riprova di come l'analisi di piccoli eventi o di ricordi assuma un'importanza straordinaria nello studio delle personalità e sappia anticipare desideri e comportamenti più espliciti.

In questo capitolo Freud si rivolge soprattutto ai «ricordi di copertura» dell'infanzia i quali «devono la propria esistenza a un processo di spostamento; svolgono la funzione di sostituti, nella riproduzione, di altre impressioni realmente significative, al cui ricordo, tramite l'analisi psichica, si può risalire a partire da essi, ma la cui diretta riproduzione è ostacolata da una resistenza. Poiché i ricordi indifferenti devono il fatto di conservarsi non al loro specifico contenuto, ma a un rapporto associativo del loro contenuto con un altro rimosso, hanno legittimo titolo al nome di "ricordi di copertura" con cui li ho indicati. [...] Il caso della formazione di ricordi di copertura consiste nella dimenticanza di altre, più rilevanti impressioni». Emerge «una tendenza che favorisce un dato ricordo, mentre cerca di contrastarne un altro».

Con queste affermazioni Freud affronta un problema di grande rilevanza: il significato dei ricordi dell'infanzia. E precorrendo di molto i tempi, intuisce che i bambini nella primissima infanzia, fino allo sviluppo del linguaggio, hanno ricordi solo di immagini.

«Nei cosiddetti primissimi ricordi d'infanzia, noi non disponiamo della traccia reale del ricordo, ma di un'elaborazione successiva della stessa, un'elaborazione che può aver subito l'influenza di molteplici potenze psichiche di epoca più tarda. I "ricordi d'infanzia" degli individui assumono così, in generale, il significato di "ricordi di copertura".» E conclude: «Se si sottopongono a un esame analitico i ricordi che un individuo ha conservato, si può stabilire con sicurezza che non c'è garanzia della loro esattezza. Alcune immagini mnestiche sono senz'altro falsate, incomplete o spostate nel

tempo e nel luogo».

Queste immagini vanno interpretate o meglio tradotte e la «stele di Rosetta» per farlo è l'analisi d'inconscio.

Da questi riferimenti, e ancor più dalla lettura del testo nella sua sequenzialità e completezza, risulta che l'inconscio diventa un «personaggio» necessario alla vita poiché senza il suo apporto la comprensione tra individui si impoverisce, finisce per legarsi a impressioni e sfuggire alla «verità».

L'inconscio, uno strumento di bordo per muoversi tra le persone e dentro il mondo.

La relazione interpersonale e sociale è possibile solo se la lingua che si usa è conosciuta da tutti. Alla luce della Psicopatologia della vita quotidiana bisogna aggiungere che questo però non basta: occorre l'inconscio per decodificare i termini del linguaggio, in base non alla semantica e al loro significato accettato, ma al sentimento. Un conto è parlare di qualcosa che si crede di aver capito e un altro è farlo con la certezza che quanto si sta per dire corrisponde alla verità.

E questa considerazione pone l'inconscio come una realtà psichica non solo per gli psichiatri, ma anche per ciascuno di noi. Solo tenendo conto degli apporti dell'inconscio si può diminuire il rischio dell'errore di valutazione del senso trasmesso verbalmente e dei giudizi che le parole contengono.

Il termine giudizio fa tremare se si pensa alle conseguenze che un simile errore può comportare sul piano della punizione formulata dai tribunali ma soprattutto dagli uomini comuni nel quotidiano. Si condannano addirittura persone care, che semplicemente non sono state capite bene e profondamente come avviene invece quando si segue la logica dell'inconscio, delle correzioni che si impongono al cosiddetto buonsenso e alla ragione.

Devo confessare che, pur da psichiatra, questa rilettura della Psicopatologia della vita quotidiana mi ha mostrato come l'inconscio sia un capitolo del sapere che deve esser diffuso poiché ha un ruolo essenziale nella vita delle persone sane e di quelle che soffrono. E questa mi appare la dimensione più vera, che sento non solo parte del mio lavoro di psichiatra, ma della vita di ciascuno: uno strumento per vivere e per imparare a vivere meglio.

La Psicopatologia della vita quotidiana, oggi

Intendo fare alcune considerazioni sul significato della Psicopatologia della vita quotidiana nel tempo presente, calando questa opera dentro il nostro sapere e i nostri bisogni pratici. È indubbio che l'apporto di Freud non è rimasto fermo alla formulazione iniziale del maestro, fatta oltre cento anni fa, ma ha subito modificazioni all'interno della scuola degli psicoanalisti freudiani che, dalla sua creazione, si è progressivamente ampliata. Esistono una Società psicoanalitica internazionale, che possiamo far risalire a Freud, e le società nazionali (in Italia è attiva con serietà e impegno la Società psicoanalitica italiana).

È doveroso che io ricordi di non farne parte e di non essere uno psicoanalista stricto sensu, ma un clinico che non può fare a meno di Freud, anche se per la clinica Freud non è sufficiente.

Le memorie.

A parte questa considerazione, occorre dire che proprio all'interno della Scuola psicoanalitica freudiana il concetto di inconscio si è allontanato dalla concezione di una realtà precisamente differenziata dentro l'apparato psichico, dalla concezione di un «organo» dotato di una funzione specifica. Sempre più si inserisce l'inconscio dentro la memoria, o meglio le memorie, e dunque lo si considera un risultato dei processi mnemonici.

E certo la memoria si è arricchita rispetto al tempo di Freud con osservazioni particolari, dovute a nuovi strumenti di analisi: si è imposta la coniugazione al plurale, poiché le memorie sono molte e hanno ciascuna una sede propria nel cervello. La memoria verbale, delle immagini, dei numeri, la memoria sensoriale, spaziale, degli affetti, del racconto...

È ora chiaro che la memoria non è un processo di deposito del ricordo che viene portato alla coscienza esattamente come lo si era posto. Le memorie subiscono un notevole maneggiamento con modificazioni legate alle associazioni, ai contenuti, alle risonanze affettive che hanno suscitato.

E come se non bastasse le varie forme di memoria si embricano con collegamenti tra la memoria di parole e di numeri, tra i ricordi razionali e quelli delle relazioni sentimentali.

La scoperta di una memoria dei volti, di una specie di galleria in cui vengono esposte le facce delle persone con cui abbiamo avuto un qualche rapporto è veramente straordinaria. E ne voglio accennare.

Esiste una memoria dei volti innata. Per un'antilope è vitale poter riconoscere come pericoloso il volto di un leone e dunque tentare di sfuggirlo appena lo percepisce per la prima volta. Se il comportamento di fuga dovesse seguire un'esperienza vissuta realmente, quell'antilope perirebbe e forse la sua specie si estinguerebbe. Non appena vede un leone (e vale anche per altri nemici) scappa o almeno tenta di difendersi anche se la lotta è impari e persino ridicola.

Si può affermare dunque che esiste una galleria con immagini innate. Ma certamente la maggior parte dei visi da esporre sono acquisiti, e dipendono dalle esperienze.

E si può immaginare che vi sia una sezione buona e una cattiva.

Il bambino fissa il viso della madre che riconosce e a cui si affida, poiché nell'esperienza coglie che da lei giungono aiuti indispensabili.

Una galleria di immagini, di volti, che si arricchisce e che potrebbe anche essere modificata. Così fanno i galleristi quando spostano un'opera da un luogo a un altro, per darle un rilievo maggiore e collocarla in una nuova corrente pittorica, diversa da quella a cui fino ad allora era attribuita.

Questa galleria è fondamentale per vivere e per difendersi nel mondo, tra esperienze molteplici che si hanno soprattutto in una città in cui molti sono i volti che passano o che si fermano a osservarci.

Quando si incontra una persona, il suo volto viene monitorato, e in tempo brevissimo, sulla griglia delle «opere» contenute nella nostra galleria personale, lo si confronta fino a trovare quello a cui assomiglia, sempre che già non sia esso stesso depositato. E così subito finisce per appartenere a una sezione o a un'altra, tra i volti amici o nemici. E ciò, lo ripeto, per semplice somiglianza. E chiaro che si tratta di memoria delle immagini. Sulla base di questa galleria noi stabiliamo le nostre simpatie o antipatie e anche le nostre paure quando il volto appena incontrato ne richiama uno a cui si lega un'esperienza tremenda.

E di fronte alla paura non possiamo che avere una reazione difensiva, scappando o aggredendo, avvertendo un pericolo di morte.

Così si spiega perché, entrando in un luogo, come potrebbe essere la classe per un insegnante il primo giorno dell'anno scolastico, siamo attratti da alcuni volti e respinti da altri fino a cancellarli come se non esistessero.

Quando si cerca di capire perché l'insegnante ha simpatia per Pierino e non per Mario e si analizzano le sue associazioni, si scopre che per Pierino ci sono associazioni con volti e ricordi familiari rassicuranti (nipoti, parenti), mentre il volto di Mario richiama inconsapevolmente relazioni passate che segnalano un pericolo o quantomeno un vissuto di frustrazione.

Queste osservazioni rientrano perfettamente nella logica dell'inconscio. Anche se sempre più l'inconscio richiama non una struttura specifica, ma semplicemente i meccanismi delle memorie.

Sempre più la memoria sembra contenere tutto quanto si è chiamato inconscio.

Le neuroscienze.

Un altro elemento nuovo rispetto ai tempi di Freud è dato dalle neuroscienze, la cui nascita è fatta risalire al secondo dopoguerra e che più precisamente stanno a indicare un'epoca particolare dello sviluppo dell'interesse per il legame diretto tra cervello e comportamento.

Le nuove tecnologie, soprattutto quelle del brain imaging, capaci di mostrare le modificazioni del cervello mentre si compiono azioni mentali differenti, e in particolare la Risonanza magnetica funzionale (Rmf), hanno permesso di individuare un legame mente-cervello che prima era di gran lunga più difficile da stabilire perché non «visibile», mentre ora lo si segue su uno schermo.

Analogamente si sono avuti apporti nuovi sui meccanismi dei sogni che possono essere monitorati fisiologicamente.

Le neuroscienze sono state «bene accolte» da alcuni psicoanalisti che hanno cercato di integrare le osservazioni derivanti dal lavoro psicoanalitico con i risultati biochimici e molecolari. Un'integrazione che, anche se avversata da molti, è in linea con la visione, in questo caso profetica, di Freud, quando nel Compendio di psicoanalis auspica l'avvento di un tempo in cui il linguaggio impreciso della psicologia si sarebbe trasformato in quello della fisiologia e della biochimica.

Alcune osservazioni della psicoanalisi permettono oggi di impostare analisi biochimiche e viceversa certi dati della ricerca delle neuroscienze suggeriscono modalità nuove di interpretazione psicoanalitica dei comportamenti sani e nevrotici.

Sono affascinato dalle ricerche che dimostrano, per esempio, l'esistenza di strutture cerebrali che si attivano nel desiderio, diverse da quelle che entrano in funzione nell'azione, cioè nella realizzazione del desiderio. Dinamiche ancora diverse entrano in gioco nel piacere e nella frustrazione.

Risultati che non permettono più di chiudersi nel proprio dominio innalzando alte mura per ripararsi dalle invasioni di campo.

Molte delle prerogative dell'inconscio freudiano sono ora visibili attraverso il brain imaging e dunque alcune ipotesi si trasformano in dati scientifici che servono a orientare anche le tecniche dell'analisi e ad arricchirne il significato.

Se l'inconscio di Freud dava una risposta al mistero del comportamento umano nevrotico, con le nuove tecniche possiamo fare un poco di luce sul mistero che comunque rimane legato all'inconscio.

Partendo da queste considerazioni sulla ricerca e sul futuro, voglio ora affrontare il senso della Psicopatologia della vita quotidiana, oggi. Definirne il significato pratico, per aiutare l'uomo a vivere meglio, poiché questo è il suo grande, sotterraneo bisogno: vivere e soprattutto vivere sempre meglio.

Cosa insegna la lettura della Psicopatologia della vita quotidiana all'uomo del tempo presente

Lo indicherò con lo stile proprio della pratica empirica, in maniera sintetica, per punti.

La tua libertà come possibilità di scelte qualsiasi e dunque infinite, è illusoria. Ognuno di noi è guidato dal desiderio e dalla volontà di protagonismo pieno, ma deve fare i conti con l'inconscio che è la sede storica del nostro passato, delle esperienze che ci condizionano senza che noi ne abbiamo coscienza, come una forza nascosta e persino enigmatica.

Siamo calati tra ragione e mistero {logos e numinosum): un limite proprio della condizione esistenziale. La morte è fatale, il senso dell'esserci, invece che appartenere al nulla, che non c'è, resta un enigma. Richiama i versi di Ungaretti, l'uomo «Attaccato sul vuoto / Al suo filo di ragno».

Il «conosci te stesso», l'antico monito socratico, alla luce dell'inconscio diventa «cerca di conoscere te stesso sapendo che rimarrai sempre un mistero». E dà valore all'altra sentenza sul «sapere di non sapere». L'uomo cerca la conoscenza sapendo che tutto si limita a risolvere un dubbio che ne genera almeno altri tre. E subito si giunge al detto che «aumentando il sapere cresce al contempo l'ignoranza» - e molti aggiungono anche «il dolore».

La Psicopatologia della vita quotidiana insegna il grande valore delle piccole cose, degli atti all'apparenza più insignificanti. Ogni espressione, normale o patologica, svela l'uomo e il suo mistero anche se non lo risolve mai. E così si capisce perché piccoli gesti, eseguiti o mancati, siano capaci di farci mutare l'umore e la visione del mondo.

Non esiste una sostanziale differenza tra l'uomo sano e l'uomo malato, non solo perché il primo può ammalarsi e l'altro guarire, ma anche perché si tratta di condizioni variate per quantità, non per sostanza - quasi si trattasse di compartimenti stagni -, come per tanto tempo si è creduto. Anch'io ho contribuito a dare consistenza a questo implicito risultato degli studi di Freud riportati in questa sua opera, dimostrando che la normalità è compatibile con la violenza estrema e dunque con la grande criminalità. E questo dovrebbe suscitare in noi il rispetto del malato di mente. Rispetto che è mancato per secoli, per tutto il tempo in cui il nevrotico è stato visto come il male o come una sua espressione.

Forse aggiungerete altri insegnamenti voi stessi dopo la lettura che, vi assicuro, sarà piacevole e interessante.